Il segreto di Edward K.(FINE)

Ma non ero preparato a quello che vidi qualche giorno dopo.
Piovigginava e tirava vento, tanto per cambiare e io ripensando al racconto di Elinore decisi di uscire nell’umido a camminar fino all’Abbazia.
Indossai il giaccone impermeabile col cappuccio e mi inoltrai nella campagna dove spiccava qua e là il bianco delle pecore. Vidi le rovine annerite sulla collina e mi affettai a passo spedito per raggiungerle quando un bisbiglio che si confondeva con il rumore della pioggia mi fece voltare verso lo stagno e restai di pietra.
Di fronte a me, a pochi metri di distanza, c’era una ragazza alta e snella con un corto abitino passato di moda e i lunghissimi capelli al vento; noncurante dell’ombrello che stava per esserle portato via dalle raffiche, tenendo un piede sollevato come se danzasse, si chinava verso un grosso felino rossastro ridendo e parlandogli a bassa voce mentre il gatto con le zampine in aria cercava di acchiappar le gocce d’acqua.
Mi sfregai gli occhi, immobilizzato dalla sorpresa e dal gran gelo che all’improvviso avvertii quando lei alzò lo sguardo su di me, pupille nere come la notte più scura, e mormorò:
“Martin, lo sapevo che saresti tornato”.Rimasi lì immobile, non potevo muove neppure un muscolo. Ma quando allungò una mano per toccarmi l’orrore mi riportò nel mio tempo. Farfugliando parole senza senso
mi misi a correre in preda a un impulso che non ho mai saputo definire. Non era solo terrore era anche una specie di rimorso per averla abbandonata alla vita da sola: il rimorso di Martin. Ad un certo punto mi fermai con il cuore in gola e mi voltai…non c’era più nessuno: solo l’acqua, il vento, i ruderi e la sinistra palude in fondovalle.
Arrivai a casa trafelato, mi scolai una bottiglia di ottimo wisky e caddi in un sonno profondo da ubriaco. Quando mi svegliai ricordai tutto: non avevo sognato e il mio cervello funzionava perfettamente. Solo Elinore e prima di lei il grande William avevano detto la verità:
il velo tra passato e presente si era aperto per me e questo era un evento straordinario.
Inutile aggiungere che per tutto il tempo che restai a Moffat, per 5 mesi, non vidi mai più il gatto e tantomeno la ragazza, per quanto li abbia cercati quasi ogni giorno nei ruderi e intorno al laghetto, tanto che cominciò a correre la voce che fossi strano anche io, come Kelly e Rufus tanti anni prima.
Non feci mai parola a nessuno del mio straordinario incontro, per 50 anni è rimasto ben celato dentro di me, forse per paura di essere preso per un visionario pazzo. Ne parlo solo ora, ora che la luce in fondo al tunnel della mia vita è ben visibile e sto per iniziare il mio ultimo romanzo:
“Il segreto di Edward K.”.

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