
C’era una volta in mezzo all’Appennino un paesino che contava all’incirca 500 anime in piena stagione, cioè d’estate.
D’inverno la popolazione si dimezzava.
Come ben si sa tutti i villagi hanno il cosiddetto “scemo”, lo strano, il diverso, che qualcuno compatisce ma che nella maggior parte dei casi viene schernito. Questo succede ancora ora, immaginiamo in quei tempi lontani.
Anche il mio villaggio aveva il suo “diverso”: Scìmmiu; l’avevano chiamato così per l’abitudine che aveva di imitare i gesti di chi incontrava, comportandosi appunto come una scimmia.
“U’ Scìmmiu” per quanto ne so non aveva altro nome, oppure il paese l’aveva dimenticato.
Si sussurrava fosse nato da un incesto.
Era una figura alta e ossuta d’uomo: portava sia in estate che in inverno un berrettaccio di lana verde calcato fin sugli occhi e un parapioggia sempre aperto. Quando rideva digrignava i denti, pareva una maschera di cartone che spaventava i bimbi più piccoli.
L’uomo, muto ma con un udito da roditore, aveva la fissazione dell’acqua: conosceva il torrente che passava in fondo alla valle pietra per pietra, ansa per ansa, come i canali d’irrigazione,
i ruscelli, le piccole cascate, le fonti che si trovavano nei boschi più lontani.
Un giorno gli fecero vedere un manifesto con il mare: fuggì terrorizzato; quella era un’acqua senza sponde, infinita , morta per lui, che non si poteva risalire, accarezzare tra i salici e le fitolacche.
“U’ Scìmmiu” camminava lungo gli argini dei corsi, saltando di pietra in pietra, dialogando con il flusso: ogni tanto tirava fuori da una borsa di stracci bisunta che portava a tracolla un foglio di carta, una matita e scriveva cifre che solo per lui avevano un senso.
Visto da vicino non aveva età, come i santi e i dementi; quando incontrava una donna si toccava il petto con aria felice ma non era un gesto osceno, come pensavano quasi tutti, piuttosto un gesto di apprezzamento e di accusa:il suo inconscio scopriva l’acqua di vita, quel latte di femmina che l’aveva ingiustamenet nutrito.
Un giorno, mentre era a dialogare con il fiume secondo il suo solito fu sorpreso da un violento temporale; si rifugiò sotto un enorme castagno appena sopra la riva: un fulmine spaccò in due il tronco centenario e fulminò Scìmmiu delle acque.

che storia triste! 😒
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e vera, il poveretto è morto nel 52 o 53, la sua storia me l’hanno raccontata un migliaio di volte. pensa che la catapecchia dove abitava è stata acquistata da un torinese che l’ha ristrutturata alla grande: ma è rimasta sempre ” a cà du scìmmiu” ciaooo giulia
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😃
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Un destino davvero ostile, per una creatura malvista da tutti…..poverino!
Buon pomeriggio carissima e un abbraccio
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storia vera, che mi hanno raccontato una infinità di volte, scìmmiu… morì negli anni 50.
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che bel pezzo…l’uomo delle acque, un ritratto perfetto.ottima penna wikka
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grazie giò
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