Le Mille e una Notte ovvero l’Arte di raccontare di Shahràzàd

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Vittorio Zecchin- La Mille e una notte

Alla fine del 1600 Antoine Galland, uno studioso francese di lingue arabe, venne inviato inOriente dal Re Sole per fare incetta di ori, porcellane e tessuti.
Tornò a Parigi con un tesoro di enorme valore: un manoscritto che sarebbe stato tradottocon il titolo : Le mille e una notte.
Gli storici della letteratura hanno liquidato le novelle di Shahràzàd come opera di bassaqualità eppure Le mille e una notte sono diventate ugualmente un’opera immortale, perché?
Questo libro magico che secondo la tradizione uccide chiunque lo legga dall’inizio alla fine
– come il secondo libro della Poetica di Aristotele nella fantasia di Umberto Eco, vedi
Il nome della rosa–  resta un testo anonimo che attinge a fonti diverse: indiane, persiane,babilonesi, arabe, giudaiche, egiziane…
Si tratta di un’opera famosissima e tuttavia quasi sconosciuta che in pochissimi hanno letto, non dico tutta, ma per lo meno in gran parte.
Così il nome della narratrice Shahràzàd è spessissimo abbinato a notti d’oriente lussuriose
e a tende nel deserto in cui fascinosi sceicchi  seducono improbabili fanciulle, magie di cartapesta che poco o nulla hanno a che vedere con il vero significato del libro.
Perché Le mille e una notte possono essere un’esperienza carnale, ma al tempo stesso tantoprofonda da raggiungere lo spirito nelle sue radici più intime.
Sono un gioco impudico e nello stesso tempo innocente.
Un assommarsi di sensazioni acute che richiamano, attorno alla figura della donna, visionidi giardini profumati e di fastosi ambienti in cui la frescura di una fontana zampillante si unisce al tepore di tendaggi lussuosi e sovrabbondanti.
Profumi intensi fino allo stordimento.
Suoni soffocati di strumenti e gorgheggi di uccelli.

Ma soprattutto sono la trovata geniale di una donna , Shahràzàd, per avere salva la vita,una donna che possiede l’Arte di raccontare.
Ecco , secondo me, il vero significato di questo libro immortale.
Infatti la figlia del Visir dimostra che non basta conoscere una storia, bisogna anche saperla narrare per sedurre colui che l’ascolta.
Solo facendo rivivere un mondo straordinario e fatato si può guarire un sovrano dal suoodio verso le donne e avere salva la vita.
Una storia insomma deve essere meravigliosa, fuori dal comune, altrimenti non merita diessere raccontata, insegna Shahràzàd : solo così l’ascoltatore si trova finalmente liberatodall’opprimente quotidiano per viaggiare nel mondo della fantasia, dove può finalmente essere o avere tutto ciò che vuole e che nella realtà sogna soltanto.
Se poi il narrare si interrompe sul più bello, alla fine di una lunga notte, comesuccede con l’astuta Shahràzàd…allora si è addirittura guadagnato un altro giorno divita, con l’abilità indiscussa della parola.
Nonostante Le mille e una notte siano considerate bassa letteratura da alcuni storici occidentali della letteratura araba, secondo me sul frontespizio di questo libromeriterebbe di essere scritta una frase di Racine:
– Noi , comunque, abbiamo notti più belle dei vostri giorni-
Senza scordare le parole di Lamartine :
– L’Arabia è terra di prodigi; laggiù ogni cosa germoglia e ogni uomo ingenuo o fanaticopuò diventare per una volta profeta-

E’ bene ricordare che il primo traduttore di questa opera, Galland appunto, purgòalquanto il testo iniziale, aggiungendo anche episodi di pura fantasia; adattò insomma l’originale al suo gusto e al suo tempo.
Ci furono altri in seguito che manipolarono il manoscritto, uno per tutti, Burton che alcontrario moltiplicò d’intensità le scene erotiche; pare che fosse reduce da unafrequentazione troppo assidua dei postriboli del Bengala.
Attualmente gli studiosi concordano nel ritenere la migliore traduzione quella di untedesco: Enno Littmann, decifratore delle iscrizioni etiopiche della fortezza di Axum.In Italia si dovettero aspettare gli anni della seconda guerra mondiale perché a G.Einaudivenisse in mente di affidare una versione a Francesco Gabrieli per la collana IMillenni.
Poi ci fu nel 1989 una nuova versione della Rizzoli e polemiche a non finire.

Termino con una breve poesia di Abù Al-Tayyib Al-Mutanabbì, uno dei più grandi poeti ditutti i tempi: nato a Kufa, Iraq, nel 905 e morto a Baghdad nel 965. Otto secoli diletteratura araba risentono della sua poesia.

Il cavallo,
il deserto,
la notte mi conoscono,
l’ospite e la spada,
la carta e la penna.

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