Cesare Borgia e Nicolò Machiavelli: il bellissimo inganno di un Principe

machiavelli

cesareborgia

Cesare Borgia e Nicolò Machiavelli: il più machiavellico dei Signori e l’inventore del Machiavellismo s’incontrarono a Imola nel 1502.
L’incontro fu tranquillo: si riconobbero all’istante.
Cesare vide in Nicolò il portavoce della Repubblica di Firenze, Nicolò vide in lui il ritratto del Principe.
L’uno fu ingannato dal suo realismo politico, l’altro dal suo realismo fantastico.
Infatti Cesare Borgia non riconobbe il Machiavelli filosofo della storia, ma solo un impiegato della Repubblica di Firenze, mentre Nicolò ammirò subito il Cesare, già per voce unamine ad alti destini chiamato, che alcuni invece già nomavano l’anticristo.
Il Duca Valentino, allora per grazia di Dio duca della Romagna, di Valenza e di Urbino, principe di Andria e Venafro, signore di Piombino, Gonfaloniere e capitano generale di Santa Madre Chiesa , figlio illegittimo di papa Alessandro VI, aveva ricusato la porpora cardinalizia per dedicarsi all’arte della politica e della guerra, a lui più congeniale.
Aveva ucciso il fratello, il Duca di Gandia, accorciato la vita al cognato Alfonso di Bisceglie che ferito minacciava di non passare a miglior vita e andava famoso per rapporti forse troppo cordiali verso la sorella Lucrezia, che pare fosse anche oggetto delle attenzioni del Santo Padre.

Ora, questa famiglia modello destava una certa apprensione nei circoli timorati dei Fiorentini, che, un po’ per il sentirsi ronzar attorno un vicino potente, pericoloso e dotato di astuzie volpine, un po’ per un certo bigottismo ereditato dal Savonarola non potevano proprio soffrire il Duca.
Anzi, poiché egli chiedeva un vero e proprio ambasciatore, per non tributargli troppo onore gli spedirono Nicolò.
Ma nonostante non si amassero troppo, Fiorentini e Valentino si adornavano della stessa insegna, il Giglio di Francia: e gli amici degli amici conviene siano amici.
Tanto più che in quel momento uno dei capitani del Duca gli si era ribellato ed era costui nemico acerrimo dei Fiorentini.
Quindi Nicolò veniva mandato per rassicurare Cesare della solidarietà e amicizia di Firenze.
Nicolò vide il Duca della leggenda, abiti neri e gioielli compresi, ma non se ne lasciò impressionare.
Non si curava dei suoi peccati, badava al sodo, cioè alle sue azioni politiche.
Insomma…il fine giustifica i mezzi.
Il Machiavelli nelle lettere che scrive alla corte non lascia trasparire alcun sentimento di riprovazione nei confronti del Valentino.
Del resto era un maestro nel fare intorno a un personaggio o un fatto politico una specie di vuoto morale; le azioni nei suoi scritti si svolgono in un silenzio morale perfetto.
Sono come partite al biliardo giocate in una stanza chiusa.
Le palle vanno e vengono e si rincorrono di sponda in sponda, s’urtano, rimpallano, abbattono i birilli, finiscono in bilia o si fermano.
Ogni colpo ha i suoi fini, ogni birillo il suo valore.
Machiavelli è il pallaio che conosce tutti i giocatori, che segue tutte le partite, segna i punti, ma sul suo volto non traspare alcuna commozione e apre la bocca solo per annunciare il vincitore.
E chi meglio del Valentino poteva rappresentare il sempre vittorioso, il Principe per eccellenza?

Cesare Borgia era l’uomo dei suoi tempi: miscredente ma legato mani e piedi alla Chiesa, bello, ambizioso, fortunato e instancabile in amore, circondato da artisti di cartello come il Pinturicchio e Leonardo da Vinci, orgoglioso: aut Caesar aut nihil, rivelava la sua volontà di dominio ad ogni costo.
Ma era anche un valente politico che aveva fiutato i tempi, anzi ne era lo strumento.
Quando esponeva al Machiavelli la sua idea di come spegnere i tiranni diventava l’uomo moderno e il liberatore delle popolazioni di fronte ai Petrucci e ai Baglioni , ai Gravina e ai Manfredi, agli Sforza, ai Da Varano che non erano affatto migliori di lui e per di più rappresentavano uno stato arretrato.
Lui era il progresso, la nuova carismatica luce politica a cui tutti avrebbero dovuto guardare.

Il Fiorentino fu colpito dalle virtù personali del Valentino.
Scriveva a Firenze:
-E’ un signore molto splendido e magnifico, nelle armi tanto animoso, che non è sì gran cosa che li paia piccola; e per la gloria e per acquistare stato mai si riposa, né conosce fatica o pericolo; fassi benvolere a’ suoi soldati, i migliori d’Italia; le qual cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte a una perpetua fortuna-
Ecco, il Valentino era baciato dalla Fortuna e il Machiavelli aveva per questa dea una riverenza particolare, inferiore soltanto a quella per la dea Volontà, che pure al Borgia non mancava.
In verità nessuno riusciva a capire le vere intenzioni di Cesare, neppure il Machiavelli.
Alcuni dei suoi intrighi politici rimarranno per sempre un mistero.
Lui era l’uomo della notte, in senso letterale.
E arriviamo al “bellissimo inganno”.
Quattro capitani di Cesare: Oliverotto da Fermo, Paolo Orsini,Vitellozzo Vitelli e il Duca di Gravina gli si ribellarono, in un momento in cui la Fortuna pareva avergli voltato le spalle.
Si erano dati convegno alla Magione presso Perugia e per tradire s’erano giurati fedeltà reciproca.
Il Duca aveva incassato con calma , iniziando a intavolar con loro pazienti trattative, mentre andava raccogliendo forze militari da ogni parte.
Se le sue parole parevano preparar un accordo, i fatti annunziavano guerra.
Usando ogni gentilezza possibile riuscì a farsi invitare dai quattro a Senigallaia, dove era giunto con le sue forze.
Appena i congiurati entrarono nel suo palazzo ne fece spagnolescamente garrotare due in men che non si dica, riservando gli altri al padre Papa, onde fossero suppliziati.
Questo “bellissimo inganno” sorprese anche il Machiavelli, che quasi tutti i giorni si incontrava con il Duca, nonché gli intimi del Borgia.
Cesare decideva senza consultarsi con nessuno, perchè di nessuno si fidava, solo di se stesso.

Dal “bellissimo inganno” fu assai colpita l’opinione pubblica italiana del tempo; cominciarono a circolare epigrammi, canzonacce, sul papa e su suo figlio.
A Firenze si risvegliarono gli odi savonaroliani; e si biasimava lo storico per i suoi spregiudicati e continuativi rapporti con il Duca.
Il Machiavelli rimase impassibile: per lui il Valentino era una macchina politica perfetta, programmata solo per raggiungere i propri fini.

Poco più tardi Cesare Borgia fallì , il suo regno divenne roba di Roma, dove regnava il suo nemico Giulio II, i suoi castelli cededettero; il condottiero che pareva invincibile fu imprigionato e spedito in Spagna , dove morì miseramente in un agguato.
Il Machiavelli, che in quel perido era Roma, ne seguì le vicende, ma non mutò mai le sue convinzioni.
Se l’uomo aveva fallito, il metodo da seguire era pur sempre quello.
Infatti ancora parecchi anni dopo conversando alla farmacia dell’Impruneta, era solito dire:
-Se io fossi un principe nuovo farei come il Duca Valentino: così e così-

 

Testo di riferimento: Vita di Nicolò Machiavelli Fiorentino di Giuseppe Prezzolini

10 pensieri su “Cesare Borgia e Nicolò Machiavelli: il bellissimo inganno di un Principe”

      1. Il Machia doveva essere afflitto di strabismo, uno dei suoi più fedeli discepoli, quel Kissinger che tu ben ricorderai, almeno amava,con malato realismo,dire di uno dei suoi “statisti mitici”:è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana. E Pinochet gongolava, per avere un simile amico amerikano. Mentre invece il povero Machia si era illuso d’avere trovato il”suo”figlio di puttana, invece questi era soltanto un galletto tra i tanti e nemmeno il peggiore, vista l’abilità del padre e di tanti altri personaggi del tempo. E del resto come dimostrò,finendo allo spiedo, nè più nè meno che un volgare pollastro…
        Bacio più che mai valente…

        Piace a 1 persona

Lascia un commento