Dal tempo dei Faraoni (2) : Le favolose miniere dell’antico Egitto, oro e sangue

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I modi in cui l’Egitto dei Faraoni si autocelebrava erano quelli propri a ogni società complessa dell’antichità: l’architettura monumentale, l’arte e la scultura, i costumi tradizionali e gli ornamenti.
Per templi e statue il faraone aveva bísogno di pietra: diorite dal sud, grovacca (arenaria) dal Deserto orientale e granito dalle cateratte; per i gíoielli, turchese dal Sinai e oro dalla Nubia; per utensili e attrezzature, rame dall’Arabah.
Il plenipotenziario nominato per l’occasione aveva a disposizione artigiani, minatori, muratori, cercatori di minerali e operai; gli venivano assegnate razioni e animali da tiro e la spedizione mineraria partiva.Il numero degli operai variava moltissimo, da qualche centinaia a più di 10.000. Portando con sé il papiro ufficiale della “commissione di lavoro” sigillato davanti al Farone, il comandante della spedizione ordinava spesso di ricopiare il documento facendolo incidere sulla parete adiacente alla miniera o alla cava.
Sappiamo così che nel trentottesimo anno del regno di Sesostri (ca. I9I9- I875 a.C.) un certo Amenemhat si recò a Hatnub per procurarsi 80 blocchi di pietra che sarebbero stati trainati da 2000 uomini, e che la consegna raggiunse i1 Nilo due settimane dopo gli scavi.
Spesso nelle operazíoni connesse allo scavo e al trattamento dei minerali venivano coinvolti gli abitanti del luogo, che il píù delle volte non erano affatto d’accordo ed erano costretti a lavorare in condizioni disumane.

Così i Nubiani lavoravano nelle miniere d’oro nel Wadi Allaqi, a est del Nilo, sotto la supervisione degli egizi in condizione di schiavitù. L’oro, fuso negli avamposti di Buhen e Kubban, veniva poi spedito a corte come quota dell’ “imposta di Wawat e di Kush”. Gli Egizi consideravano l’oro metallo divino: ritenevano che la carne degli dei fosse aurea e le loro ossa d’argento.

La galena (solfuro di piombo), usata per il trucco degli occhi, era estratta dai giacimenti di Gebel Zet sul Mar Rosso. Talvolta veniva trasportata nel Medio Egitto e commerciata tramite i beduini di passaggio favorendo un fiorente commercio.
(n.d.a.) : Al Museo Egizio di Torino è conservato “Il papiro della mappa delle miniere d’oro di Fawakhir, nello Wadi Hammamat” del XII secolo a .C., la più antica mappa “geologica” che si conosca.

La via dei turchesi, pietre preziose molto usate nell’antico Egitto, raggiungeva le miniere dell’Arabah e del Sinai; bisognava viaggiare per mare e per terra. Una strada per le miniere di turchese del Sinai passava attraverso il vasto “wadi” (letto di fiume in secca) che corre in direzione est all’altezza del Fayum fino al Golfo di Suez. Qui si costruivano navi per traghettare i minatori sulla costa occidentale del Sinai, presso la moderna Abu Rudeis.
Sfruttata dall’Età Predinastica fino all’inizio del Medio Regno, la regione è ancora oggi caratterizzata dagli scavi delle antiche miniere, tanto che gli arabi contemporanei la chiamano “Valle delle cave”.
E la considerano infestata da demoni e fantasmi non benevoli 🙂

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