La pietrificata del Duomo di Milano ovvero la storia di una statua fatta di carne e sangue(1)

Federico Bebber
Federico Bebber

Ho scelto una notte di luna piena, tanto i miei concittadini dormono oppure son corsi sulla via principale per veder passare l’imperatore Federico detto il Barbarossa che viene a impadronirsi della nostra città.
Indosso una tonaca del color della pietra serena della nostra cattedrale e ho scurito mani e viso con della fuliggine.
Sono fortunata, nessuno in giro.
La fabbrica della nuova enorme chiesa, non ancora finita, biancheggia sotto la luna come una montagna di ghiaccio.
Comincio ad arrampicarmi con fatica a destra del portale, imprecando e piangendo di rabbia.
Ripenso ad Adelmo e mi auguro di cadere, di farmi male, magari di morire.
Così mi avrà per sempre sulla coscienza, il maledetto.
Ma le mie dita sono artigli, il piede è sicuro e peso talmente poco ormai; mi fanno da scalini la testa di un leone, il ginocchio di un profeta… e continuo a salire.
Quando arrivo sopra il portale e guardo giù, son colta da vertigine, ma aderisco alla parete come un grosso geco.
Salgo ancora fino a che arrivo a una mensola che, fin dai tempi della costruzione è rimasta senza statua (dall’altra parte, invece, c’è S. Giorgio che uccide il drago).
Sono arrivata: mi accoccolo sul ripiano che è appena bastante a sostenermi. Ansimando, mi assesto; le gambe incrociate sotto la tonaca, alzo il cappuccio e l’ombra mi cala fin sul mento.
E qui rimarrò, a meno che non precipiti al suolo sfracellandomi.
Morirò di fame e di sete, ma non scenderò più tra i miei simili, in quel mondo dove lui mi ha rigettato dopo tanti anni spezzandomi il cuore.
-Beca tu sei vecchia, brutta, non ti voglio più nel mio letto, d’ora in avanti dormirai nelle stalle, quello è il tuo posto- mi ha detto questa mattina, spingendomi fuori di casa a schiaffi e calci.
Ma non mi considerava certamente brutta,venti anni fa, quando, sedicenne, mi vide per la prima volta su, in montagna, pascolar le capre, più agile di loro a saltar di roccia in roccia…
Ero snella allora e avevo il sole negli occhi e nei capelli; mi portò in questa città ricca e puzzolente, togliendomi i monti e l’aria pura per farmi far figli e servirlo.
Ora che di di anni ne ho 36 e sono sfinita dalle gravidanze e dalle fatiche mi ha cacciata per prendersi Romilda, vent’anni, fresca come una rosa.
Così mi ha uccisa,anche se non fisicamente,buttandomi via come una ciabatta usata che non serve più.
E questo non riesco a sopportarlo perchè io lo amo sempre, come la prima volta che l’ho visto e ho abbandonato tutto il mio mondo per lui.
Comunque sono sempre abbastanza agile per arrampicarmi fino a questa mensola, dove conto di lasciarmi morire, sotto gli occhi di tutti, per diventare il suo eterno rimorso.
Sono qui sopra da tre giorni, ma nessuno mi ha notato.
La gente è davvero distratta.
Ieri è piovuto e la pioggia mi avrà ripulito la faccia, le mani no, perché le tengo dentro le maniche.
I piccioni cominciano a coprirmi di escrementi, la conca della tonaca, tra le ginocchia aperte, è già un ricettacolo di cacche, piume e pagliuzze.
Non mangio, mi sono dissetata con la pioggia.
Neppure quando son piovute di sotto alcune gocce del mio sangue mestruale sono stata notata.
Del resto il flusso si è arrestato subito: un’altra traccia di vita che se ne va. Quando è uscito il sole alcuni hanno alzato gli occhi lungo la facciata del duomo ma nessuno si è accorto che la mensola è occupata.
Tranne Ghinulfo, il cretino, che balbettando, rosso in volto, mi ha indicato con insistenza prima a due uomini, che non l’hanno ascoltato, entrando tranquillamente in chiesa, poi a una dama che per tutta risposta gli ha dato una moneta senza alzar neppure gli occhi, infine a due soldati che gli han risposto male.
Allora lo scemo si è allontanato brontolando tra sé e gesticolando.
Chi guarda verso di me pare non vedermi.
Forse sono già morta e volata via anche se non me ne rendo conto.
Stanotte fa freddo, mi sento intirizzire.
Piango, maledicendo Adelmo:le mie lacrime sono ancora tiepide ma molto scarse.
Continua più tardi…

2 pensieri su “La pietrificata del Duomo di Milano ovvero la storia di una statua fatta di carne e sangue(1)”

  1. mi ripeto : un’ottima scrittura a tratti stringente, cruda ma ricca di pathos.
    Il contorno che le hai dato mi riporta atmosfere quasi gotiche, medievali (adoro quel periodo). Mi stai ingolosendo cara Viki 🙂

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