La filastrocca dei colori

Si diceva che mio padre avesse sposato mia madre solo perché stregato dal colore dei suoi capelli.
-Capelli da strega- la zia Marion così definiva i capelli di mia madre e i miei.
Capelli strani: difficile definirne le tonalità sotto il sole.
Neri con una spruzzatadi blu, castano chiaro e scuro, rosso, rame e persino un poco d’argento.
Nell’insieme uno strano colore prismatico.
Ora me li hanno tagliati con una forbice da giardiniere; chissà come saranno quando ricresceranno, forse non avranno più arcobaleni da mostrare sotto il sole.
Meglio così.
C’era qualche cosa di strano nella grande e antica casa dove sono cresciuta.
C’erano ombre negli angoli e sussurri nelle scale e il tempo era insignificante come la chiarezza.
Ma non saprei dire come facessi a saperlo.
E c’era in atto una guerra: una guerra silenziosa, senza rombi di cannoni; i corpi che cadevano non erano che desideri morenti e il sangue versato si chiamava sempre orgoglio.
Di questo sono sicura.
La nostra casa aveva innumerevoli finestre, molte di esse impreziosite da splendide vetrate colorate.
Le persiane, tutte sul punto di crollare, erano di un rosso così cupo da sembrare nero come sangue disseccato, a chi le guardava da lontano.
La cosa più bella erano le balaustre che ornavano i balconi e le verande forgiate in modo da sembrare felci stilizzate.
Da piccola giocavo nel grande atrio dove le vetrate colorate e piombate della portafinestra raffiguranti scene di angeli di vita e di morte proiettavano sul pavimento arabeschi di tutti i colori che risplendevano tatuandomi simboli sul volto, colpendomi con violenza gli occhi e trapassandomi il cervello.
Come fossero lame invisibili.

Allora recitavo dei versi che qualcuno mi aveva insegnato- forse gli stessi muri della casa- per proteggermi dai colori:

Cammina sul nero, esci per sempre dal mistero
Cammina nel verde, nel male ci si perde
Cammina sul blu, faticherai sempre di più
Cammina nel giallo, cadrai giù dal piedistallo
Cammina sul rosso, avrai la morte addosso

Così per non camminare sui colori che mi terrorizzavano strisciavo lungo le pareti, con le mie bambole di carta strette tra le braccia, ascoltando le campanelle tibetane sotto il portico tintinnare e tintinnare, tenendomi nell’ombra e sussurrando la filastrocca.
Strisciavo e strisciavo finché anche i colori si muovevano e scintillavano come diamanti incandescenti.
Poi qualcuno o qualcosa puntava nei miei occhi un prisma di cristallo che mi accecava.
Allora smettevo di strisciare lungo i muri: era inutile, i colori vincevano sempre.
Anche dove sono ora loro sono i più forti: per questo mi tengono rinchiusa al buio, perché:
Cammina sul nero, esci per sempre dal mistero…