Una storia di treno: la vedova e il soldato- epilogo

da Liberaeva-Eric Bowman:intimacy
da Liberaeva-Eric Bowman:intimacy

In questo incrociare di sguardi, di grida di madre, rumori infantili, improvvisa comparsa del multicolore gallo che finalmente attira l’attenzione del ragazzino creando ulteriore scompiglio, la vedova è sempre immobile, pare una statua.
Ora il treno si ferma in una minuscola stazione, Serradifalco.
Qualcuno scende, con fagotti e altri bagagli e sale un militare, in grigioverde.
Il giovane ha visto, da terra, sfilargli davanti il viso della vedova, la nota, ne è attratto, e una volta salito cerca lo scompartimento.
Arriva sulla porta e con gentilezza chiede se il posto è libero.
Alla risposta affermativa si siede tra la donna in nero e la corpulenta padrona del gallo.
Ecco, il militare lo vedo scuro di pelle e capelli, dalla bocca larga, con splendidi denti, gli occhi nocciola, allungati, orientaleggianti, le ciglia folte, infantili.
Non molto alto, il corpo snello bagnato di sudore, si allunga sul sedile, divaricando le gambe.
Sta stretto tra le due donne, cosicché appena il treno riprende il ritmico movimento le sue cosce sfregano contro quelle della cicciona e della vedova.
La prima tenta di ritirarsi ancor più contro la parete, ma potrebbe farne a meno visto che si capisce subito a chi è rivolto l’interesse del ragazzo.
Per qualche secondo pare ipnotizzato dalla grossa croce d’oro al collo della vedova e dal suo ballonzolare sul petto lucido di seta:
Op.
Pausa.
Op.
Salta su un seno umido e poi sull’altro.
Il pozzo e il pendolo.
Per un breve periodo di tempo l’uomo resta immobile, affascinato.
La donna tiene sempre lo sguardo fisso fuori del finestrino, anche quando sistema la gonna sulle ginocchia o cerca il fazzoletto per asciugarsi il sudore.
Il ragazzino, forse intimorito dalla divisa, ha smesso di agitarsi e legge un “Topolino”.
Il prete, vinto dal caldo, si è addormentato, come la cicciona con il cesto..
La madre si è messa a consultare un settimanale di pettegolezzi vari.
Il soldato si alza, con la scusa di aprire del tutto il finestrino, in realtà per guardare bene in viso la donna in lutto.
Che non batte ciglio.
Nel sedersi così, come per caso, le sfiora un seno con un braccio.
Poi lentamente abbandona la mano sinistra tra la sua coscia e quella di lei e comincia a far vagare le dita nella stoffa morbida apprezzando la carne elastica e soda, spingendosi fino al fianco nell’esplorazione.
Lei continua a guardar fuori dal finestrino fissando gli ulivi come se fosse Dio, li avesse appena creati e si chiedesse annoiato come chiamarli.
Il soldato è visibilmente eccitato, accavalla le gambe, ha la mascella contratta, si capisce che febbrilmente sta pensando a come appagare il suo desiderio.
In quel momento il ragazzino grida:
-Grotte arrisvegliativi…-
allora è tutto un fervor di preparativi, un raccoglier roba.
Ma il soldato e la vedova restano al loro posto.
Il treno riparte, il crocefisso riprende il suo saltellare ritmico.
Allora il giovane infila di colpo la mano tra le cosce della donna, sale oltre le calze fino a raccogliere nel palmo rovesciato il peso del suo sesso sotto l’intimo di cotone.
Lei chiude quelle dita in una morsa di carne.
Il soldato resta un attimo indeciso …quando arriva la galleria, chiaro simbolo dell’atto sessuale che tra poco si consumerà.
Al buio, naturalmente, perché si sa , in quei vecchi treni la luce spesso mancava.
Ora in questa scena non ci vedo braccia e gambe che si agitano, furori erotici di vestiti strappati, ridicoli dimenar di natiche, gambe spalancate degne di ginnasti da medaglia d’oro.
Immagino un tutto buio che dura qualche secondo, il rumore del treno in sottofondo mentre si ode distintamente il frusciar di stoffa ruvida contro la seta, di cerniere che si aprono, di carne contro carne, niente lamenti, sospiri, grida, solo parole incomprensibili mormorate a voce bassissima.
Si compie un rito e ciascun spettatore o lettore deve poterlo interpretare e immaginare come preferisce.

Il fischio della locomotiva annuncia il ritorno alla luce.
La vedova guarda di nuovo fuori, solo un ciuffo ribelle le danza su una gota, le mani nervosamente sistemano la gonna, poi il fazzoletto torna ad asciugare il sudore, ora più copioso, soprattutto sul labbro superiore.
Il soldato è frastornato: i pantaloni ancora mezzi sbottonati, ha il respiro affrettato, gli occhi chiusi, le mani abbandonate, ma in un secondo si riprende e si sistema ravviandosi i capelli e gli abiti.
Ora forse il ragazzo sta per parlare ma la donna si alza, la borsetta al braccio e senza degnarlo di uno sguardo si avvia alla porta.
Esce nel corridoio, e la mano alzata di lui, pronto a fermarla resta lì, inutile.
Siamo arrivati ad Aragona: lei scende e si avvia per attraversare il binario parallelo (sono solo due) su un passaggio di legno.
L’uomo la segue da dietro al finestrino con lo sguardo, quei fianchi agiscono su di lui come una calamita.
Si alza per seguirla ma in quel momento arriva un merci, che gliela nasconde alla vista.
Allora scuotendo il capo, ridendo tra sé, si stende per lungo su tre posti liberi e decide di farsi un breve sonnellino, fino ad Agrigento.

Fine

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