Di quelle tue regali chiappe

Hermes di Prassitele

Nella nostra società il nudo di donna è una vera e propria icona, sempre a mezzo come il prezzemolo.
Può trattarsi dell’articolo in toto, oppure degli attributi più concupiti, insomma della femmina non si butta
via niente, tutto è edibile per il maschio, che ne è soggiogato dalla culla alla tomba.
Nel senso che lei lo mette al mondo e poi, statistiche alla mano, organizza anche il suo funerale.
Ci sono mille e mille cantori delle venustà muliebri.
Tette, culo, pancia, per non parlar della fessura, hanno da sempre eccitato la fantasia dei nostri compagni, spingendoli addirittura a scriver poemi su di noi con i quali, spesso, hanno raggiunto le vette più alte di ispirato lirismo.
Roba che l’Everest gli fa un baffo a quest’esercito di “vati”.

Io invece voglio qui tesser le lodi del tuo pregevole maschio sedere, la cui bellezza mi toglieva il fiato.Quando ti ho conosciuto ho deciso che eri sì un gran bell’esemplare di giovane uomo, ma di sicuro non
Einstein.
E neppure un lontano cugino.
Ma…
Quando ti togliesti i pantaloni per correre in costume verso l’acqua … ecco la folgorazione; mai visto in
vita mia un culo maschile più bello.
Le tue natiche erano un blocco duro, un gioiello perfettamente chiuso, due sfere di muscoli guizzanti, senza un’ombra di grasso che le deturpasse.
Un bronzo di Riace…
M’innamorai di “lui” e decisi che dovevo averlo.
Nonostante tu fossi l’oggetto del desiderio di tante donne di ogni età per la fama di sciupafemmine che ti aleggiava intorno fu facile convincerti a seguirmi nella mia fresca alcova visto che il tuo posteriore si intese subito con le mie pregevoli signore tette: anche qui, una folgorazione.
Del resto come avrei potuto dubitarne…
Gli uomini non scordano mai, finché campano, la fonte del loro primo pasto, e forse la mia, di fonte, era migliore in quel momento di tante altre…
Durante la notte che seguì al nostro incontro, mentre dormivi il giusto sonno del grande amatore – “grande” si fa per dire poiché eri stato davvero scarsino a prestazioni, come del resto quasi tutti gli uomini molto belli che pensando di averti onorato a sufficienza elargendoti una rapida ripassata non si impegnano per niente – potei finalmente ammirare il tuo posteriore nudo a mio piacimento.
Fu allora che cominciai a filosofeggiare su quei due globi di carne, perdendomi con gli occhi nelle loro curve e a chiedermi quanti milioni di anni ci erano voluti prima che la specie arrivasse a tale perfezione di forme e proporzioni.
Avrei voluto davvero aver l’eloquenza di un autentico poeta per render giustizia a tal duplicato di
prodigi.
Successivamente in loro trovai una bonomia sorridente che mi faceva tenerezza.
Ogni minimo fremito di quella carne tosta era per me motivo di ammirazione, che mi portava a baciarli, leccarli, cercar di azzannarli.
Se fossi più versata nell’arte del lavoro a maglia, avrei intrecciato per le tue natiche corredini,
bavaglini, piccole camice di raso e seta, le avrei rivestite, insomma, come un pargolo reale.
Parevano due frutti freschi, consumabili sia d’estate che d’inverno, perché la perfezione va sempre in coppia.
Ma soprattutto dal tuo didietro emanava un buon umore, un’affabilità per gli esseri e le cose che invitava a intese idilliache.
E questo è davvero strano, perché non avevi un carattere molto socievole, eri presuntuoso, arrogante e sorridevi di rado.
Per questo quando il tuo viso si accigliava, pensavo alle tue chiappe, sicura di trovarvi amicizia e
conforto.
Del resto le natiche son l’immagine del paradiso, un simbolo di ricchezza, una vivente cuccagna: perciò esercitano tanta attrattiva, anche su di me.
Tu non lo sai ma ho dato alle tue dei nomi, come Stanlio e Ollio, Bonny and Clyde, Tom e Jerry, le Celesti Sfere…
Il tuo sbalorditivo deretano mi attirava talmente che sopravvivevo a malincuore lontano da te o meglio dalle tue rotondità scultoree.
A onor del vero anche l’ampia schiena che si innestava sulle natiche era pregevole: gran dorsale, trapezio, deltoide… da manuale di anatomia.
E infine, a rivestire il cranio, i tuoi capelli, folti, morbidi, leggermente lunghi sul collo, adorabili da
accarezzare e da baciare.
E sotto i capelli…niente.
Il vuoto.
Il deserto dei Tartari, con buona pace di Buzzati.
Ma avevi un gran bel sedere, due vere chiappe imperiali, le mie due chicche, i miei gioielli; in fondo, con un sedere così, chi pensava al cervello?

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